Ivan Piccoli: «Cerco di essere un punto di riferimento e di appoggio per i giocatori»
«La regola degli under fatico ancora a digerirla, non fa bene al calcio. Il mio consiglio ai giovani? Porsi degli obiettivi e raggiungerli»
Ivan Piccoli, 38 anni, è il vice allenatore della Reggio Audace: braccio destro di mister Antonioli, nonché collaboratore tecnico e in ultima istanza anche coinquilino del tecnico romagnolo. Entrambi hanno raggiunto risultati importanti in Serie D con Ribelle e Bellaria prima della cavalcata dai dilettanti alla Lega Pro con il Ravenna nelle ultime due stagioni per poi firmare in estate con i granata.
[Le altre interviste allo staff tecnico: il preparatore Cosmi, mister Antonioli]
«Da ex calciatore penso di essere bravo a trasmettere valori ai calciatori, a volte mi sento giovane come uno di loro - sottolinea Piccoli - Mi diverto assieme ai ragazzi nello spogliatoio e in campo: credo che creare un rapporto del genere sia un valore aggiunto. Per me è giusto che i collaboratori abbiano un approccio diverso con i giocatori, comportandosi da amici per dare un consiglio o un conforto quando serve».
Da giocatore che carriera ha percorso?
«Ho iniziato nelle giovanili del Cesena a 14 anni e sono rimasto con i bianconeri fino ai 28 anni arrivando a giocare in Serie B, poi ho cambiato maglia passando all’Ancona e ho concluso la carriera tra Fano e Santarcangelo dove ho appeso le scarpe al chiodo nel 2014».
Che memorie porta con sé dell’esperienza da calciatore?
«Qualche infortunio di troppo forse mi ha limitato ma ho avuto la fortuna di giocare contro squadre importanti come Juventus, Napoli o Genoa, davvero un altro modo rispetto al nostro. Ricordo con piacere quella partita di Coppa Italia contro la Juve, quando io e i miei compagni rimanemmo abbagliati durante il riscaldamento dai vari Cannavaro, Emerson e Del Piero. Davvero bei momenti...».
La collaborazione con mister Antonioli invece com’è iniziata?
«Ci siamo conosciuti a Santarcangelo quando io giocavo in prima squadra e lui allenava la Berretti. Dopo che mi sono ritirato è stato il primo a chiamarmi e a propormi di affiancarlo a Bellaria. Da lì in poi è nato il nostro rapporto fatto di grande amicizia e anche qualche discussione ma quelle servono per crescere. Dopo 5 anni insieme lo considero come un fratello maggiore».
Ha mai pensato di diventare capo allenatore?
«Ne ha sicuramente le qualità - spiega Antonioli - Non avrei problemi ad accettare questa opzione». «La ringrazio mister - risponde con un sorriso Piccoli - Credo di sapere fare il mio lavoro e se dovesse capitare l’occasione in futuro non mi tirerei indietro».
A livello tecnico di cosa si occupa principalmente?
«Cerco di essere un collaboratore a 360 gradi per dare una mano al mister. Nello specifico mi dedico a certi particolari nella fase offensiva e difensiva e alle varie situazioni su palla inattiva. Durante la settimana assieme al match analist Bertani preparo i video da mostrare alla squadra sulla partita della domenica precedente e sui prossimi avversari».
Il rapporto stretto con Antonioli va anche fuori dal campo, visto che condividete lo stesso appartamento assieme al preparatore Cosmi...
«Iniziamo a parlare di calcio sin dalle 7 del mattino quando il mister prepara il caffè. Io mi sono specializzato nelle lavatrici e il prof nel lavare i piatti. La convivenza è piacevole, ci rispettiamo a vicenda».
Qual è il ricordo più bello del vostro percorso condiviso di allenatori?
«Sicuramente la vittoria del campionato di Serie D a Ravenna ha lasciato un ricordo importante, ma in tutti gli anni passati insieme sono arrivate delle soddisfazioni. Con il Bellaria raggiungemmo i playoff grazie ad una formazione composta da 10 under e ci andammo vicini anche con la quasi sconosciuta Ribelle. Per noi un motivo di orgoglio è vedere i giovani allenati salire di categoria: ciò significa che qualcosa di buono lo abbiamo lasciato».
I giovani in Serie D ricoprono un ruolo importante se non fondamentale: è difficile allenarli?
«Tendenzialmente sono tutti bravi ragazzi, però io consiglio sempre loro di crescere come mentalità ponendosi degli obiettivi e lavorando a più non posso per ottenerli. A volte si ritrovano ad essere dei giocatori anche quando non lo sono: devono lavorare per migliorare altrimenti rischiano di ritrovarsi senza nulla di concreto in mano dopo il triennio da “under”, dovendo cambiare vita al di fuori dal mondo del calcio. Al giorno d’oggi si avverte la mancanza della meritocrazia...».
La regola dei quattro “under” sempre obbligatori in campo (almeno un '98, due '99 e un 2000) non è la sua preferita…
«Sono totalmente contrario a questa imposizione, per me non è il modo giusto di intendere il calcio perché va a danneggiare tutto il sistema. Chi è bravo trova sempre un posto in squadra, al di là della carta d’identità...».
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