Libutti: «Da infortunato ho potuto vivere emozioni che in campo mi sarei perso. Spero di ripagare la fiducia di Amadei»
«La mia famiglia, i compagni e la società mi hanno dato una grande mano nel periodo più difficile. Da fuori ho capito quanto è importante la famiglia granata. Il futuro? Resto anche in B, lavorerò al massimo per meritarmi tutto questo affetto»
Lorenzo Libutti è un ragazzo d’oro e si contraddistingue per una semplicità disarmante che emerge dalle parole e dal tono sempre pacato e rispettoso. Piedi ben piantati per terra e pochi grilli per la testa. Ora che il brutto infortunio è alla spalle, vuole lasciare il segno e ripagare la fiducia di società e tifosi nel prossimo campionato in Serie B. Sicuramente non mancherà un bell'applauso da parte del pubblico granata sabato nell'ultimo appuntamento stagionale contro il Catanzaro…
Bentornato Lorenzo. Il peggio è passato?
«È stato un periodo abbastanza lungo, però dopo un lavoro impegnativo e molto attento da parte di tutti sono riuscito a tornare nella forma giusta per rientrare con la squadra. Ho fatto gli ultimi due allenamenti interi con il resto del gruppo: è andata bene, con la protezione che mi hanno fatto apposta per proteggere la zona le sensazioni sono state positive, magari un po’ strane, perché ritornare in campo e ritornare con la squadra mi ha dato emozioni particolari ed è stato bello ed emozionante. Fisicamente ho risposto bene».
A proposito di emozioni, facciamo un passo indietro al pomeriggio di Olbia e alla grande festa una settimana dopo con l’Imolese. Cosa ti ricordi?
«Ho provato tante emozioni. Per me gli ultimi quattro mesi vissuti da fuori sono stati difficili. Poteva essere il periodo più sfortunato della mia carriera, dato che non ho mai avuto infortuni: è stato difficile all’inizio realizzare tutto e accettarlo, poi una volta accettato posso dire che forse è stato uno dei periodi più belli da quando gioco, perché ho visto le cose da fuori. In campo si vivono emozioni diverse, affrontando tutto da fuori è stato ancora più emozionante e ancora più bello. Vedere le partite con tutte le persone lì in tribuna e soffrire un po’ con loro durante il percorso è stato emozionante poi ad Olbia la società ha deciso di portare tutti. Io non sono riuscito ad entrare subito con la squadra, perché mi hanno scambiato per un tifoso e non mi hanno fatto entrare, però è stato bello perché ho potuto fare dei video dalla tribuna».
Cosa significa per te, che hai vissuto questi quattro anni così intensi, tornare dove la Reggiana merita, cioè in Serie B?
«Il primo anno è partito un po’ così, nessuno se lo aspettava. Eravamo un gruppo giovane poi dopo il ripescaggio è stato tutto strano, si è creata una magia particolare e siamo riusciti a vincere, poi con il Covid si è bloccato il campionato e siamo ripartiti dai playoff ed è andata bene così. Invece poi in Serie B l’annata è stata un po’ particolare, siamo retrocessi, l’anno scorso è andata come è andata e quest’anno la promozione è il giusto premio che gruppo e società meritano per il lavoro fatto».
Quanta rabbia hai provato dopo la frattura del perone in allenamento?
«Più che arrabbiato, ero dispiaciuto. Non ho mai avuto infortuni seri e sembrava una botta così da niente durante la partita con il Siena, infatti i primi controlli erano andati bene, poi sono stato un po’ ingenuo perché volevo rientrare subito, invece avrei dovuto ascoltare il mio corpo che mi diceva di andare con calma. La dottoressa e i fisioterapisti mi sono stati vicini e mi hanno detto di prendermi qualche giorno e io ho detto di no.. e in campo dopo il primo scatto ho sentito subito il dolore».
In questo periodo difficile chi ti è stato più vicino?
«La famiglia è stata importantissima: mamma e papà appena hanno saputo sono subito saliti qui, sono stati con me e infatti è stato anche particolare e strano vivere quei dieci giorni assieme a loro. Inoltre non mi aspettavo tutto questo affetto dai tifosi, dalla gente, da tutta la società, da tutte le persone che lavorano qui in sede. Penso soprattutto a Giacomo (Giovannini, ndr) che è arrivato un giorno con un pezzo di Parmigiano-Reggiano, che è stato il segreto per recuperare, e la cassa per sentire un po’ di musica che mi ha fatto compagnia. I compagni di squadra ancora una volta hanno dimostrato che sono davvero fondamentali per me e mi sono stati vicino dal primo giorno, con le chiamate e i messaggi, poi passavano da casa per salutarmi e mi accompagnavano dappertutto perché non potevo guidare. Paolo (Rozzio, ndr) per esempio passava tutte le mattine a portarmi il caffè macchiato che prendeva sotto al bar, Fausto (Rossi, ndr) pure per qualsiasi cosa, perché abita a 50 metri da me, Varela mi passava a prendere tutti i giorni. Tutti i compagni hanno fatto davvero tanto e mi hanno dato una mano per affrontare questa sfida».
Nel momento del bisogno hai trovato una comunità a 360 gradi che hai scoperto per la prima volta…
«Sì, se non mi fossi fatto male non l’avrei mai scoperta. Da una parte sono contento di questo infortunio perché ho avuto modo di ricevere tanto affetto ed emozioni che non avrei mai provato, per questo motivo dico che è stato il periodo più bello da quando sono qui. Ad un certo punto mi sono arrivati dei messaggi da parte dei bambini di Sciaudone e di Rossi: anche questi sono ricordi che non dimenticherò facilmente».
Reggio ti ha dato qualcosa anche in ambito affettivo…
«Nel mio periodo più sfortunato si è aperta un’altra strada inaspettata e ho conosciuto questa ragazza, si chiama Dina, che mi è stata vicino e ha contribuito tanto a farmi passare un po’ più in fretta tutto. Io sono un po’ inesperto in materia, è stato tutto un po’ strano, infatti ho chiesto consigli a Paolo e Fausto, che sono quelli con cui ho un rapporto più particolare, perché dovevo andare a mangiare una pizza, ed era proprio la sera della partita con l’Ancona che abbiamo perso quindi non sapevo se fosse il caso e Paolo mi ha detto di andare. Piano piano, è iniziata con calma e sembra che stia andando bene e nella gara con l’Imolese ha conosciuto un po’ tutti i parenti che erano lì. Meno male che hanno fatto tutto da soli…».
Sabato al “Città del Tricolore” arriva il Catanzaro: che emozione sarà per te tornare in campo?
«Già è stata un’emozione sabato rientrare tra i convocati, vivere lo spogliatoio, il pre-partita, però qui sarà in casa, quindi sarà più emozionante. Devo dire che c’è un po’ di paura perché mi manca il ritmo partita…».
Il patron Amadei ha detto che sei il simbolo di questa Reggiana: che effetto ti fa ricevere un attestato di stima da parte di una persona così importante?
«Mi ha fatto tanto piacere e non so se merito proprio quelle parole, perché molti altri sono stati protagonisti più importanti in questa annata e tutti quanti nel loro piccolo hanno fatto davvero molto. Da fuori ho potuto vedere ancora di più quanto sia stata importante gente che magari non è stata protagonista sul campo; penso per esempio a Natan Girma, quel ragazzo che si allena con noi da sei mesi e pur non avendo un contratto è stato qua e si è allenato sempre con il sorriso, dando il massimo. Lui mi ha fatto capire ancora di più quanto sia importante avere passione per questo sport: senza contratto e senza soldi è rimasto qui sei mesi e ha dimostrato un po’ a tutti che a volte la passione è molto più importante. Per esempio anche Nicoletti che ha avuto un periodo difficile, si è operato ed è stato fuori tanto, mi ha trasmesso molto perché nonostante i tanti infortuni è sempre a disposizione di tutti. Penso anche a chi come Sciaudone ha giocato poco ma si è allenato ogni giorno sempre al massimo. Tutti i ragazzi hanno dato un piccolo esempio».
L’anno scorso a giugno il tuo futuro era incerto, ora invece si sa che rimarrai anche in Serie B. Pare sia stato Amadei a volere la clausola del rinnovo automatico sul tuo contratto…
«Sì, in caso di promozione c’è un’opzione automatica per il secondo anno. Spero di ripagare tutta questa fiducia che ripone in me: le sue sono state parole che anche in famiglia hanno apprezzato tutti e spero di lavorare il massimo per provare a meritarmi tutto questo».
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